Parole chiave: Contratti di Fiume, Pianificazione regionale, Urbanistica moderna, Parchi, Bacino idrografico
Keywords: River Contracts, Regional planning, Modern urbanism, Hydrographic basin
Abstract:
IT) Nel percorrere alcuni capisaldi teorici nella storia internazionale della pianificazione territoriale è possibile esaminare come cambia l’approccio al fiume e va a costruire non in modo lineare, ma con varie oscillazioni, l’attuale sensibilità presente all’interno della cultura urbanistica. Essendo la relazione con il contesto geografico vitale, ha comportato progetti di ampliamento degli insediamenti, politiche di sviluppo economico, piani di riorganizzazione e rigenerazione, seguendo le preoccupazioni preminenti in diversi periodi fino a quello attuale della transizione ecologica.
EN) By tracing some theoretical milestones in the international history of territorial planning, it is possible to examine how the approach to the river changes and constructs, not in a linear way but with various oscillations, the current sensitivity within urban planning culture. The relationship with the geographical context being vital, has led to projects of settlement expansion, economic development policies, reorganization, and regeneration plans, following the prevailing concerns in various periods up to the current ecological transition.
Introduzione
Nel patrimonio di pensiero dei Contratti di fiume (Cdf) si è fatto ricorso all’urbanistica ed alla pianificazione territoriale. Manifestazioni evidenti sono, tra l’altro, le linee guida del processo e i criteri di valutazione. Si concorda essere auspicabile lo studio del territorio in maniera integrata richiamando anche il quadro di riferimento costruito dai diversi livelli e settori di pianificazione. Sono assunti vincoli e normative riguardanti l’uso del suolo.
Partendo da questa costatazione della presenza della pianificazione nei Cdf qui si ribalta la questione e si pone la domanda contraria: possiamo trovare una presenza dei fiumi nell’urbanistica e quali significati tale presenza assume? Il motivo per porre questa domanda è proprio di esplorare quale legame esiste tra di loro e come questo legame si può qualificare.
Questa breve esplorazione andrà a cogliere alcuni spunti nei momenti emergenti e più noti dell’urbanistica moderna dove il tema fiume si è evidenziato cercando di comprendere quale approccio è stato tenuto. Si seguiranno gli sviluppi e le contiguità ipotizzando la formazione correnti di pensiero e di pratiche per penetrare con maggiore consapevolezza gli strumenti tuttora utilizzati. Teorie ed esempi scelti non pretendono di essere esaustivi ma ricorrono in quanto ritenuti dall’autore emblematici o perlomeno significativi di un discorso. Infatti, non si pretende di svolgere una trattazione storica, piuttosto ci si muove in sintonia con un’analisi genealogica o meglio di una mappa diacronica di idee e concetti,
Il campo d’indagine privilegiato sarà quello della pianificazione del territorio perché la scala del fiume e ad area vasta, alla dimensione regionale, mentre più raramente riesce ad emergere nella dimensione urbana non tanto perché non sia presente in quelle realtà ma per la prevalenza che ivi assumono altri fattori. L’ipotesi di lavoro si fonda sulla fiducia della rintracciabilità di una corrente di pensiero che sfocia nell’attuale modo di trattare la pianificazione dei territori fluviali. Per quanto si proceda per semplificazioni e tendenziose selezioni non si riescono ad evitare intrecci ed ambiguità e il fiume appare sempre conteso tra opposte esigenze ed inconciliabili dualismi.
Origini bipolari dell’urbanistica moderna: Germania e Scozia
Giorgio Piccinato (1974) ha evidenziato il ruolo dell’urbanistica tedesca non solo a definire le tematiche della città industriale in anticipo rispetto al nostro paese e con impegno razionale, ma anche a costituire un riferimento per la volontà di assegnare allo stato una funzione regolatrice e di guida solida ai processi di urbanizzazione come si andava profilando nel ventennio, quando si costruì e approvò la legge 1150 del 1942. A conferma di questi legami tra la cultura urbanistica dei due paesi c’è quanto vissuto personalmente da una delle più influenti personalità della fase nascente della disciplina come Luigi Piccinato il quale spende un anno della sua formazione – 1926-27 – presso la Technische Univesitat di Monaco (Belli, Belli 2022) per non parlare dei medesimi legami del suo maestro Marcello Piacentini particolarmente evidenti nel monumentalismo architettonico e nel classicismo urbanistico (Lupano 1991).
La manualistica tedesca si concentra sulla costruzione della città nell’era dello sviluppo industriale e codifica gli elementi che la compongono insieme ai processi che la rendono realizzabile secondo una pianificazione dall’alto sottraendola alla confusione delle iniziative spontanee. Considerazione teorica minima è dedicata al contesto di natura e tantomeno ai fiumi sebbene la Germania annoveri numerose ed importanti città fluviali con le quali, nella pratica, dovevano fare i conti, anche perché costituivano oggetto di impianti indispensabili.
Non è un caso che a notare questa attenzione ai fiume fosse un urbanista scozzese. Nel libro City in Evolution, Geddes (1915) descrive in maniera ammirata l’ampliamento del porto fluviale di Francoforte, con un totale di otto miglia di moli, con il relativo raggruppamento di depositi, magazzini e negozi e fabbriche di vari generi servite da quaranta miglia di nuove linee ferroviarie con un villaggio di cottage per i lavoratori. Geddes dichiara che la Scozia (Glasgow) deve imparare dalla Germania perché qui c’è la collaborazione tra storici, imprenditori e utopisti con i sindaci e consiglieri. In realtà, egli sta proiettando sull’urbanistica tedesca il suo metodo interdisciplinare di conoscenza dell’evoluzione urbana come base della pianificazione dove trova un posto inaspettato per i tempi, l’attenzione verso la dimensione della natura nelle metropoli.
Il vantaggio di Geddes è di trovarsi a confronto con uno sviluppo urbano che ha già incominciato ad articolarsi in sobborghi nelle zone agricole anche distanti dalle città formando complessi urbanizzati che includono vasti territori in cui sono presenti ampi spazi aperti. Egli guarda con attenzione a questa morfologia a bassa densità e ne cerca precedenti storici per integrarla nella cultura britannica. Salisburgo seicento anni fa – ricorda – fu fondata dal vescovo, emigrato da Old Sarum nel 1220, tracciando veri giardini curiosamente simili a quelli di Lechtchworth o Hampstead Suburb d’oggi avvantaggiandosi dei grandi spazi aperti, dei ruscelli lungo le strade per non parlare della cattedrale.
Con ancora maggior vigore il fiume entra nella progettazione della città grazie ai parchi. Dedica uno studio molto accurato ad una cittadina a 20 km da Edimburgo fondandovi una proposta di cambiamento che si potrebbe molto avvicinare a quello che oggi chiamiamo rigenerazione urbana (Geddes 1904).
Fig. 1. Piano per Dunfermline. Il ruscello con una riva ricoperta da pini scozzesi di fronte al campo da golf. In questo punto il ruscello è ampliato e le rive saranno piantumate.
La proposta centrale per Dunfermline è un grande parco ed elemento centrale di quest’ultimo è il fiume di cui richiede la purificazione e la modifica delle alterazioni del presente corso artificiale con una deviazione verso nord a formare un lago artificiale. Il ruscello con le sue espansioni di piccoli e grandi laghi fornisce gli habitat giusti per una interessante collezione di uccelli acquatici oltre all’indispensabile magnificenza dei cigni. Lungo le sue rive possono avere la tana la volpe e il castoro, ci possono essere cinghiali e capre. Sugli alberi una famiglia di scoiattoli. Propone di riaprire il ruscello principale allora tombato e ricondurlo al corso naturale e di affiancarlo con un boulevard ristrutturando la strada che corre lungo la riva e valorizzare il mulino Abbey Mills. Nota che un affluente diventa inquinato in prossimità di un villaggio per la presenza di funghi e richiede la realizzazione di fognature da parte della Contea. Propone di estendere la connessione verde al lago di Townhill sottolineando che ancora più importante dei parchi tradizionali è la presenza in città di una serie di spazi aperti connessi da parkway a mobilità lenta. Qui ripropone la principale invenzione di Frederick Law Olmsted che aveva trovato la sua affermazione canonica a Boston tra il 1878 e il1895 con la poetica denominazione di “collana di corallo” (White1988).
Questo progetto fa intendere come Geddes vedesse il fiume come un ecosistema considerando assieme la qualità dell’acqua (e la necessità di combattere l’inquinamento) e le diverse specie che popolano l’habitat fluviale. Da ciò ricava la necessità di operare restauri ecologici di stombamento, ripristino dei corsi originari, espansione delle aree umide come rimedi alle alterazioni operate dall’urbanizzazione. In una fase in cui ancora non si è avvertita la minaccia delle estensioni delle specie rare, la biodiversità è coltivata dall’ammirazione dello studioso e da un approccio allo sviluppo urbano tenacemente convinto della possibile armonia uomo-natura e dai relativi benefici che ne può trarre.
Fig. 2. Piano per Dunfermline. Confronto tra lo stato di fatto e la soluzione di piano.
Il fiume nella città industriale
La vena utilitaristica si fa strada quando definisce l’acqua dei fiumi il carbone bianco ammirando lo sviluppo dell’energia idroelettrica in Norvegia dove gli sembra possa aprire una seconda rivoluzione industriale e influire sulla competizione tra le città (Geddes 2015). In un’epoca di massiccio utilizzo del carbone i primi passi dell’energia rinnovabile, quale quella idroelettrica, priva di emissioni inquinanti in atmosfera, appariva effettivamente come l’opportunità d’avvio di una nuova fase economica e sociale. Perciò insiste a elencarne i vantaggi aggiungendo che la creazione di laghi artificiali per la produzione di energia elettrica riduce le alluvioni e permette l’allevamento dei pesci. Dopo più di un secolo di pratiche abbiamo trovato anche gli aspetti negativi determinati dalle grandi dighe che interrompono il trasporto solido e contribuiscono all’erosione delle coste oppure provocano di spaventosi disastri conseguenza di errate valutazioni geologiche. Questi fattori di cui Geddes non era a conoscenza, né poteva prevedere, anche se temperano l’entusiasmo per quella che allora era una grande innovazione tecnologica non annullano l’impegno per proseguire sulla strada dello sviluppo delle energie da fonti rinnovabili e senza emissioni climalteranti.
All’inizio del secolo fa eco a Geddes un padre dell’urbanistica americana, John Nolen quando teorizza il valore e ruolo del sito nell’atto fondativo:
“Le città devono la loro esistenza alla geografia, e una tale propria individualità è dovuta ampiamente alla topografia. Le principali caratteristiche topografiche che determinano le città sono il mare, i fiumi, le colline e le pianure. Ci sono volute decadi di sviluppo urbano ed errori per imprimere sulle città degli Stati Uniti la necessità di rispettare e conservare queste caratteristiche naturali, alle quali devono non solo la loro forma, ma spesso le loro vera vita.” (p. 24)
Questa affermazione sposta sul piano teorico generale quello che Geddes aveva espresso empiricamente nella progettazione urbana, con un severo ammonimento nel quale si percepisce la preoccupazione per i pericoli naturali intrecciata ad un utilitarismo, inevitabile per i tempi, di spinta colonizzazione del nuovo continente e non dissimili da un medesimo clima europeo. Infatti, data la diffusa navigabilità dei fiumi negli USA, si sofferma sul loro impiego come vie di comunicazione e sulla realizzazione degli approdi. Classifica in tre famiglie le strutture dei waterfront: 1) commerciali, per gli interessi delle grandi manifatture e navigazione; 2) il tipo residenziale per la localizzazione di belle zone e 3) l’uso ricreativo del fronte dell’acqua per parchi e boulevard. Assolte alle prioritarie funzioni commerciali essenziali per l’economia urbana, allora trova spazio anche un approccio più ecologico ai fiumi. Ritiene desiderabile, infatti, riservare a parco le rive dei ruscelli, dei piccoli fiumi e gli altri corsi d’acqua non navigabili della città, e salvaguardare questi canali dall’invasione. Oltre che opportunità per i parchi, offrono adeguati canali di drenaggio dell’acqua piovana. Senza queste infrastrutture, temporali eccezionali possono causare alluvioni disastrosi come insegna la storia.
Fig. 3. Il bacino del Charles River dopo la sistemazione.
Con lo sviluppo del processo di urbanizzazione ed il superamento della città intesa come un insediamento compatto racchiuso entro un definito perimetro anche dopo l’abbattimento delle mura difensive, la pianificazione si sposta sulla scala metropolitana e regionale e si deve interessare non solamente di manufatti antropici come case e strade ma anche delle componenti naturali ed agricole verso le quali si sono spinti i sobborghi. In queste condizioni il “regionalismo”, che prende questa denominazione dalla National Planning Association of America, nata nell’aprile dl 1923 a New York, deve necessariamente assumere un profilo multidisciplinare e, di fatto, include protagonisti provenienti non solo dalle file degli architetti (Clarence Stein e Henry Wright), ma anche economisti (Stuart Chase) imprenditori (Alexander Bing) ed il poliedrico Lewis Mumford. I loro studi sulla grande metropoli americana generarono idee di organizzazione dello spazio fisico come strumento di governo della complessità e conflittualità di aggregazioni eterogenee risultanti da un’urbanizzazione troppo accelerata da parte di popolazioni delle più diverse provenienze. Con l’ampliarsi ancora maggiore dell’estensione metropolitana si fa ancora più importante quella sensibilità geografica già dichiarata da Nolen ed in continuità con Geddes, avvalendosi del consolidato amore per la natura che si era aggregato intorno al movimento per i parchi urbani di cui Olmsted era stato alfiere.
Pianificazione regionale e politica di sviluppo
Con la politica di contrasto alla grande depressione del 1929 il fiume assume una centralità nella pianificazione territoriale, portando l’ideologia regionalista a coincidere con il bacino fluviale come unità d’intervento e l’approccio multidisciplinare come mezzo per politiche di sviluppo integrate. Nell’ambito della vasta legislazione messa in campo da Franklin Delano Roosevelt che va sotto il nome di New Deal, ci interessa cogliere la creazione del National Planning Board, all’interno della Public Works Admistration del segretario all’interno Harold L. Ickes, perché istituisce vari organismi di studio per la redazione di piani di bacino fluviali (Missisipi Valley Committee, Missouri Valley Committee, Red River Valley Committee, Arkansas River Valley Committee). La più nota di tutti è la Tennessee Valley Authority per gli indiscutibili risultati raggiunti.
“Nonostante l’aspra opposizione dei gruppi e degli interessi più conservatori, arroccati sui principi del liberismo integrale, e in particolare degli industriali delle società elettriche private (…) il programma della Tva diviene il più cospicuo successo del New Deal nel campo della pianificazione (e in certo senso il suo blasone di nobiltà) e resta un punto importante di riferimento negli anni del dopoguerra per i teorici del Welfare State. Alcuni dati, come l’impiego diretto di 200.000 operai, le iniziative pioneristiche in vari settori, l’aumento dei redditi e dei consumi rispetto alle altre regioni del paese, e il bilancio finanziario positivo che gli organizzatori e direttori sono in grado di dimostrare, sono elementi che non possono essere discussi neppure dai più tenaci oppositori dell’impresa.” (Sica 1980, p. 683-686)
La Tenesse Valley Authority, comprendente sette stati e più di 200 contee, fu istituita con una legge del 18 maggio 1933 perché si occupasse della produzione di energia idroelettrica e di sviluppo regionale a partire dalla diga sul fiume Tennessee che era stata fatta costruire a Muscle Sloan per alimentare una fabbrica d’armi nel 1916, durante la Prima Guerra Mondiale. Dopo la grande depressione assume un ruolo molto significativo nell’ambito della politica rooseveltiana del New Deal attuando non solo la moltiplicazione della produzione di energia offerta a prezzi più bassi delle imprese private, ma anche provvedendo alla navigabilità del fiume ed al controllo delle alluvioni con la forestazione delle aree della fascia fluviale. Tra il 1933 e 1944 costruì 16 dige idroelettriche nella zona più depressa del Sud degli USA. In aggiunta allo stimolo allo sviluppo – con lo sviluppo industriale di alcune città – ed alle condizioni di vita delle famiglie – dove si introdusse l’illuminazione elettrica e gli elettrodomestici – dato dal basso costo dell’energia e dei trasporti fluviali, istruì gli agricoltori con tecniche che limitassero l’erosione del suolo e aumentassero la produttività, all’interno di una intera azione di comunicazione che stimolava la popolazione alla modernizzazione.
Il dibattito politico intorno alla TVA si è focalizzato sull’opportunità del possesso pubblico – sostenuto da Roosevelt – o al contrario privato – come opponevano i liberali tacciandolo di socialismo – delle infrastrutture energetiche. Si tratta di un’opposizione che ha avuto vincitori alternativamente gli uni e gli altri nelle successive fasi storiche ed in corrispondenza di diverse congiunture economiche. Quello che rimane stabile è il dato fisico-geografico relativo al ruolo del fiume sia come pericolo che come risorsa, inclusa l’utilità di una pianificazione riguardante l’intero bacino idrografico integrando i più disparati fattori vitali per gli abitanti e promuovendone il ruolo attivo decisionale ed operativo accompagnato dal contributo degli esperti.
Adriano Olivetti, erede dell’impresa di famiglia, è preoccupato non solamente della gestione aziendale ma anche dal contesto in cui la stessa s’insedia e su cui va ad incidere con un cambiamento dei modi di vita e della cultura. Per lui l’industrializzazione è un processo integrale di modernizzazione ed evoluzione sociale che non può esplicarsi nell’impianto produttivo concepito in maniera isolato. La conseguenza di queste disarmoniche iniziative individualistiche aveva condotto alla congestione urbana lesiva tanto della qualità della vita degli abitanti quanto dello sviluppo efficiente della produzione. Appare indispensabile il decentramento favorito dallo sviluppo dei mezzi di circolazione e comunicazione che finisce per investire la regione urbana, come gli indicava il regionalismo americano con cui era entrato in contatto. Perciò i progetti riguardanti gli impianti della sua fabbrica di Ivrea non coinvolgono neppure esclusivamente la piana del Canavese ma anche tutta la vallata solcata dalla Dora Baltea e dai suoi affluenti al cui sbocco è collocata.
Fig. 4. La diga Norris della TVA.
Il 28 giugno del 1937 si apre a Roma la mostra del piano regolatore della Valle d’Aosta annunciata dal settimanale diretto da Piero Maria Bardi e presentata da Olivetti come inquadrato nel più vasto “piano economico nazionale, quale tracciato nel discorso del duce sul piano regolatore dell’economia italiana e nelle sue successive precisazioni alle Corporazioni” (Olivetti 1937). Bardi (1937) ne certifica il legame con la TVA sebbene lo proponga come autentica proposta corporativa per il regime comunque impegnato ad assumere un ruolo sempre più rilevante nella guida ma anche nella gestione dell’economia in funzione anticrisi.
Oggi ci appare ingenua la sua aspettativa che il fascismo potesse replicare in Italia il New Deal, come nei fatti avvenne con il progressivo disimpegno del governo nonostante i diversi solleciti indirizzati direttamente a Mussolini (Ciucci 2001) ma l’accantonamento della proposta non può offuscare il suo pregio culturale e tecnico di cui, in questa sede è opportuno sottolineare alcuni punti: l’individuazione dell’unità di pianificazione con un bacino idrografico; una concezione dell’urbanistica come la precipitazione territoriale di scelte economiche, riforme sociali e progetti di sviluppo, quali il lancio turistico dell’Alpe; la ricognizione scrupolosa delle risorse locali con metodologia multidisciplinare; l’armonizzazione delle elaborazioni ed istanze dal basso con visioni e conoscenze generali dall’alto, la concretizzazione della visione del cambiamento in immagini plastiche, ottenute con l’impiego di un gruppo di giovani architetti di talento.
Fig. 5. Piano regolatore della Val d’Aosta. P. Bottoni, Barbiano di Belgiojoso. Piano di insediamento nella conca del Breuil.
Come per la TVA siamo in una fase in cui il reddito delle famiglie ed il prodotto interno lordo sono la preoccupazione principale e sopravanzano le questioni ambientali per cui il fiume è percepito come forza motrice per le industrie che già dalla fine del sec. XIX incominciavano a penetrare nella valle o per la ferrovia (1885) che ne approfittava dell’altimetria facilitando i collegamenti di Aosta con Ivrea e Torino.
L’impegno di Olivetti a diffondere la pianificazione regionale nella prospettiva di un piano nazionale è confermato, in primo luogo, con la pubblicazione in volume del Piano della Val d’Aosta (Olivetti 1943) e poi con la sollecitazione esercitata presso tecnici di altre regioni a ripetere lo stesso tipo di studio. Ne abbiamo conferma con il lavoro di Luigi Cosenza per la Campania, sebbene sia restato allo stato di bozza, condotto proprio nello stesso anno di quella pubblicazione. L’ingegnere napoletano aveva consolidato i suoli legami con gli architetti milanesi razionalisti, gli stessi con cui Olivetti aveva elaborato la proposta valdostana, nell’ambito delle collaborazioni con la rivista Casabella diretta da Giuseppe Pagano. In una regione come la Campania, ancor meno caratterizzata da grandi fiumi, la dimensione economica prende ancora di più il sopravvento evidenziando qual era allora la graduatoria delle finalità.
Il suo valore formativo si esprimerà nell’opera di Olivetti del dopoguerra quando assume la direzione della rivista Urbanistica nel 1949 e la presidenza dell’INU nell’anno successivo e la stagione repubblicana della ricostruzione gli offre le speranze di poter istituire l’ordine politico delle comunità. Allora riallaccia i legami con il regionalismo americano e diffonde gli scritti di uno dei suoi maggiori protagonisti, Lewis Mumford e, con il congresso di Venezia dell’INU nel 1952, rilancia la pianificazione regionale (Caizzi 1962). Su questi sviluppi torneremo richiamando anche il Piano per il Piemonte.
L’acqua nel disegno del territorio
All’origine dell’urbanistica moderna si è evidenziata la differenza tra gli ambienti milanesi, come quelli che ruotavano introno ad Olivetti e quelli romani più prossimi all’accademia ed al governo, distinti ancora di più per l’approccio considerato più autentico per i settentrionali ai quali era riconosciuta una relazione internazionale con le avanguardie europee mentre nella capitale questa relazione era filtrata dalla romanità e dal peso delle tradizioni storiche (Falco 1988). Il tema dell’acqua è trattato in maniera più interna alla teoria urbanistica, rispetto alla multidisciplinarietà settentrionale. Nonostante la spinta all’innovazione si fa sentire il radicamento nello Städtebau richiamata all’inizio, con la perimetrazione di un contributo relativo ai modi di costruzione urbanistica e di un modello o idea di città capace di rispondere alle molteplici critiche allora avanzate al cosiddetto urbanesimo di cui erano evidenziati tutti i mali della congestione.
Allora, in Italia si conducevano grandi opere di bonifica e, tra esse, il Regime aveva assegnato ruolo guida a quelle delle Paludi Pontine. L’acqua è l’elemento caratterizzante tanto delle paludi che delle terre bonificate: nelle prime, determina il tipico paesaggio delle zone umide, mentre nelle seconde ripartisce il suolo con la rete dei canali che condiziona tutto il sistema infrastrutturale e la posizione di abitazioni e servizi indispensabili per popolare le nuove zone agricole. La loro organizzazione urbanistica e la progettazione architettonica fu oggetto di concorso per il quale si impegnarono con entusiasmo gli architetti del Movimento razionalista e quelli che comunque propugnavano un’urbanistica moderna, nella quale avevano tentato di coinvolgere lo stesso Mussolini personalmente, sebbene con scarso successo (Ciucci 1989).
Il primo numero della nuova serie di Urbanistica si apre con il resoconto del concorso per Sabaudia vinto da un eminente esponente dell’INU, Luigi Piccinato. Nel suo articolo di presentazione del proprio progetto della nuova città esito della bonifica, evidenzia le idee più innovative della sua lunga carriera accademica e professionale, teorizzando un nuovo concetto di città desunto dalle peculiarità del territorio della bonifica. Interiorizzando il disegno territoriale di canali e fondi nella matrice di base dell’organizzazione dello spazio, postula una città estesa di cui fanno parte ogni singolo fondo con la relativa fattoria e non solamente i centri di servizi dove si agglomerano intorno a spazi con caratteristiche più tradizionalmente urbane – qui richiama e riproduce delle piante di piazze storiche come quella di San Marco a Venezia – uffici, depositi, cinema, negozi, officine e abitazioni. Anche se questa formulazione strizza l’occhio all’ideologia anti-urbana tanto di voga nel ventennio, ci restituisce il fascino di un’organizzazione dello spazio di cui l’acqua e infrastruttura di base e la sua geografia, quantunque antropizzata, governa il territorio e si integra nella vita della comunità.
Tentativi di organizzazione del territorio
Nella ricostruzione del secondo dopoguerra Olivetti trova una grande sintonia con il gruppo torinese ABRR (Astengo, Bianchi, Renacco, Rizzotti) sulla base della loro proposta di un Piano di urbanizzazione della Valle Padana. Lo studio parte dall’analisi di Torino, per il quale si propone di elaborare un metodo scientifico, fondato sulla conoscenza statistica, concludendo con la necessità di contenere lo sviluppo entro i 600.000 abitanti e di proiettare lungo il fiume Po un sistema insediativo capace di contrastare la crescita intorno alle città. Questo sistema lineare è servito dalla ferrovia e da arterie di grande traffico ed è costituito da unità abitative attrezzate di circa 20.000 abitanti correlate alle aree produttive, in questo modo adeguatamente infrastrutturate. Ad esso si associa lo studio del territorio agricolo per garantire il miglioramento delle colture.
Il piano servì a far notare gli architetti al Ministro dei Lavori Pubblici che gli conferì l’incarico per il piano della regione Piemonte e diede ad Astengo il compito di coordinare un vasto gruppo di consulenti per redigere le linee guida per la pianificazione regionale (Dolcetta, Maguolo, Marin 2015). Tuttavia, nulla di quello di cui si è detto trovò concreta realizzazione e i pur labili indizi di piani che assumessero perlomeno una cornice data dal bacino idrografico con la sua arteria d’acqua parteciparono al più generale declino della pianificazione di fronte al vitalismo individualista del dominante pensiero liberista.
Fig. 6. ABRR (Astengo, Bianchi, Renacco, Rizzotti) Piano di urbanizzazione della Valle Padana. La città lineare con i nuclei urbanizzati segue il corso del Po.
Il Progetto ’80, concepito come le proiezioni territoriali del secondo piano economico nazionale 1971-75, riprende quell’ipotesi di unione tra programmazione economica e pianificazione territoriale cha abbiamo visto in nuce fin dal Piano della Val d’Aosta, nel quale già qualche presenza aveva avuto il fiume. In questo documento la sua collocazione non è solamente una vaga assonanza ma è meglio definita nella struttura del lavoro dove l’interpretazione del paese si articola nei tre macrotemi di aree per il tempo libero, città e infrastrutture (Renzoni 2012). L’interpretazione del paese è condotta nel dualismo tra risorse del territorio per gli insediamenti intensivi e per il tempo libero. Una volta individuate le conurbazioni, il resto del territorio assume interesse ai fini dello svago delle popolazioni urbane e va letto in funzione di quanto può offrire a questo scopo. Tra le aree per il tempo libero compaiono anche quelle fluviali e sono definite come aree caratterizzate da accentuata presenza di valori naturalistici e storico artistici. Nella seconda parte, quella del modello di assetto territoriale attuale, rappresentazione sintetica delle risorse territoriali e della loro utilizzazione, si mette in evidenza lo squilibrio tra le risorse naturali e il loro uso con l’esempio più clamoroso riguardante i parchi, allora solo in numero di quattro, una porzione minima rispetto alle aree censite come zone d’interesse naturalistico (Centro studi e piani economici 1971). Nel modello di asseto territoriale programmatico gli interventi principali consistono nella creazione di un sistema di aree caratterizzate da accentuata presenza di valori paesistici (“da utilizzare per la realizzazione di sistemi integrati di attrezzature turistiche del tempo libero e di parchi metropolitani e per la definizione di itinerari turistici specializzati”), di un sistema di parchi nazionali e di riserve naturalistiche (“corrispondenti alle emergenze paesistiche più significative e costituibili in unità bioclimatiche di notevole consistenza dimensionale”) e di un sistema di specchi d’acqua per la navigazione da diporto (“comprendenti porzioni notevolmente significative di superfici marine, per andamento e paesaggio costiero e subacqueo, e di lagune, fiumi navigabili e laghi”). In fase attuativa richiede:
- Liberazione delle fasce costiere, marine, lacuali e fluviali attraverso:
- l’adeguamento dei tracciati dei fasci infrastrutturali che attualmente le ingombrano (…);
- il blocco degli insediamenti intensivi (sia di tipo urbano che di tipo turistico) e industriali con particolare riguardo alla proliferazione degli scali petroliferi e delle raffinerie);
- la creazione di ampie fasce costiere di utilizzazione turistica programmata con la tendenza alla loro integrazione con i restanti ambienti collinari e montani (…)
- la costituzione di un grande sistema di parchi nazionali costieri. (Centro studi e piani economici 1971, p. 21).
L’utilizzazione delle acque è destinata alla navigazione da diporto con la parte del leone giocata dalle coste a cui fanno da complemento i fiumi navigabili.
A conclusione degli anni del boom, quando incominciano ad evidenziarsi le storture indotte dal relativo uso del territorio, il riformismo mobilita i saperi esperti nella fiducia che le scienze umane e naturali siano in grado di ricondurre ad un ordine efficiente avvalendosi della capacità regolativa dello stato. Si invocano politiche di tutela delle aree naturali di pregio e la regolamentazione degli usi, tra cui quello delle acque navigabili. La pianificazione si muove all’interno di un orizzonte funzionalista essendovi spinta dai miti dell’efficienza rafforzati dalla potenziata abilità di sfruttamento delle risorse naturali ed umane. Quest’approccio configura un certo tipo di antropocentrismo capace di colorarsi anche di sensibilità sociale e comunitaria alimentata da una perseguibile probabilità di benessere. In questo scenario, la conoscenza della natura è strumentale e fortemente selezionata rispetto ai bisogni ed agli obiettivi. La razionalizzazione metropolitana nel senso più ampio è volta all’innalzamento della produttività generatore di tempo libero a cui destinare il suolo extraurbano qualificato da specifiche attrattività.
Fig. 7. Progetto ’80. Modalità di attuazione del modello programmatico per il sistema delle aree per il turismo e il tempo libero.
Verso un protagonismo del fiume
Anche quando i fiumi fanno sentire la loro minacciosa presenza come nel cruciale 1966 quando si verificano la frana di Agrigento (19 luglio), l’alluvione di Firenze e l’allagamento di Venezia (entrambe il 4 novembre), la risposta del governo si muove all’interno del medesimo solco culturale centrato sulla progettazione della città e sull’uso del suolo (Moccia 2020). A scongiurare i pericoli deve essere una buona urbanistica capace di imbrigliare le crescite selvagge in assetti tecnicamente meglio controllati. La difficoltà di un cambio di paradigma è segnata dai tempi necessari perché il lavoro della Commissione De Marchi fosse assimilato e tramutato in legge: 22 anni. Solo con la L. 183/89, il fiume diventa il soggetto principale di studio, anche se limitatamente alla dimensione fisica dei flussi, con le possibili esondazioni, e si correla ai caratteri geologici per la previsione delle frane. Il territorio si popola di processi naturali indipendenti dalla volontà umana, anzi condizionanti i suoi obiettivi di sfruttamento, con avvertimenti dolorosi ed incontenibili. A rafforzare questo paradigma contribuisce la svolta della Legge Galasso da una concezione di paesaggio “estetico” ad uno naturalistico dove sono elencati i beni per il loro valore intrinseco: fiumi, laghi, coste, boschi, montagne, …
Di questo elenco di elementi la scienza ecologica ha rintracciato le relazioni che ne fanno degli habitat giungendo ad un’interpretazione del paesaggio come una sorta di mosaico con tessere a loro volta reciprocamente interconnesse, dove gli ambienti fluviali funzionano come corridoi ovvero infrastrutture naturali. In questo senso
La focalizzazione qui non è sul ruscello o fiume, né sulle qualità di rete del sistema fluviale, neppure sull’intero bacino di drenaggio, sebbene i loro aspetti generali siano inclusi. Piuttosto l’enfasi è sul corridoio vegetazionale, le sue componenti, il suo funzionamento e la sua dinamica (Forman 1995, p. 208).
Dopo aver condotto una ricognizione di questi fattori, Forman, uno dei rappresentanti più in vista della Landscape ecology, individua le principali funzioni del fiume:
La vegetazione della piana alluvionale che circonda i fiumi fornisce quattro funzioni ecologiche importanti: a) minimizzazione delle inondazioni a valle con l’attrito, l’effetto spugna, e alte percentuali di evapotraspirazione; b) controllo della sedimentazione a valle con la cattura dei sedimenti durante le esondazioni; c) sorgente di materia organica importante per i pesci e altri organismi del fiume e d) habitat per molte specie rare e non comuni (p. 250)
Ricordando come quella disciplina si è posta alla base della gran parte della pianificazione territoriale e paesaggistica, i due brevi passi appena citati fanno intendere come l’alternativa all’approccio funzionale-strumentale, avvalendosi di una più avanzata conoscenza, ricava comunque informazioni più ricche sui processi naturali e induce a pensare che i loro equilibri possono convergere con gli interessi umani. Il che riconduce alla visione di Geddes, passando per il regionalismo americano il cui sviluppo ecologico si deve prioritariamente ad Odum (1988).
Conclusioni
Per l’economia di questo lavoro, le idee a noi più vicine e, pertanto, meglio note, sono state appena richiamate perché il maggior proposito era di rintracciare alcune radici, evolute nel corso della storia, ma presenti fin dalle origini della moderna urbanistica e pianificazione territoriale. Il breve esame condotto ha evidenziato come c’è la lunga durata di alcune correnti la cui evoluzioni le porta a sviluppi sempre in parte innovativi, sebbene innestati sul medesimo ceppo originario. In aggiunta, si è constatato come le correnti siano molteplici e anche molto differenziate tra di loro. La loro compresenza porta alla prevalenza della reputazione dell’una rispetto all’altra nella comunità scientifica a secondo del periodo, con le sue urgenze e obiettivi indicati dalle esigenze dominanti oppure dalle regioni o paesi in cui possono essere favorite da un certo clima culturale generale.
In queste dinamiche, si è constatato come dentro il regno della pianificazione si sia mossa una componente biologica e geografica il cui capostipite è Geddes. Sebbene le sue proposte si avvalessero di una retorica in parte estetizzante e pittoresca, seguendo il gusto dell’Inghilterra vittoriana e della tradizione del parco naturalistico è abbastanza significativa la centralità che assegnava al corso d’acqua nella organizzazione di un territorio urbano e, ancora di più, come tenesse presente la complessità dell’ambiente fluviale.
Questa centralità degli elementi naturali è mantenuta in vita e perfezionata da McHairg che ricordiamo per il titolo del suo fondamentale libro Progettare con la natura ugualmente impegnato ad armonizzare le costruzioni con i luoghi non solamente come inserimenti compatibili ma anche come riconoscimento dei valori del paesaggio (Moccia 2022). Forse il maggior punto di contatto tra questi due maestri era la profonda conoscenza di flora e fauna dei luoghi e della capacità di farla vivere nel progetto. A lui dobbiamo anche la tecnica di pianificazione dell’overlay mapping oggi universalmente usata per la diffusione del sistema GIS e non solamente per la pianificazione paesaggistica. Certamente progettare con la natura non è ancora progettare in imitazione della natura, anche se su questa ulteriore fase giungeva più con il suo talento che non con le sue teorie. Qui si arrestava sulla soglia della compatibilità tra natura ed artificio e sulle tecniche di armonizzazione.
L’ultima tappa la stiamo praticando ai nostri giorni quando avvertiamo la frammentazione di territori prodotta dalle alterazioni dell’urbanizzazione e bisogna lavorare alla ricomposizione almeno delle relazioni più essenziali e vitali. È il momento in cui ci soccorre la Landscape ecology con la sua capacità di interpretare lo spazio regionale, un traguardo a cui è giunta continuando a puntare l’interesse sui luoghi. Quella che appare una novità, perfino la moda dell’ultimo momento vanta, al contrario, una genealogia di cui si è cercata di ricostruire i nessi.
Che il percorso non fosse così evidente si deve alla prevalenza sovente e specialmente in Italia, dell’interesse strumentale e delle sue forme ibride. La ricerca dello sviluppo economico e del benessere delle famiglie ha considerato certamente i fiumi ma privilegiando le possibilità di sfruttamento. La TVA ha compiuto l’operazione in modo non solo pioneristico, ma anche esemplare fungendo da punto di riferimento sia della modernizzazione industrialista di Olivetti ed Astengo che del riformismo di Giorgio Ruffolo e Franco Archibugi (2022) del Progetto 80. La forza culturale di questo filone ha messo in secondo piano il primo finché non è stato messo in crisi dalle emergenze ambientali.
Va anche riconosciuta la difficoltà ad operare una netta distinzione tra i due filoni culturali per aspetti comuni o di contatto. Uno per tutti è il regionalismo da cui originano tanto il filone ecologico che quello dello sviluppo locale che oggi chiameremo delle politiche place based. Lo stesso concetto di risorsa si dirama tanto in un fatto identitario quanto in una possibilità di sfruttamento. Il primo aspetto ha carattere culturale e naturale, il secondo economico. In fondo queste ambivalenze complicano i discorsi ma si possono rivelare compromessi politicamente necessari o perfino fertili. È prevedibile che piuttosto che dipanarsi in maniera lineare continueranno ad intrecciarsi nelle dispute sui valori come nei processi decisionali di piani e programmi.
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