EWT N.30/2024

N. 30

Oltre il Progetto Urbano

Mosè Ricci

Nel 2008 una grande mostra “Multiple City. Urban Concepts 1908|2008” curata da Sophie Wolfrum alla Pinakothek der Moderne di Monaco di Baviera indaga il fenomeno dello sviluppo della città nel ‘900 in relazione ai concetti urbani che in qualche modo lo hanno condizionato. Dalla città giardino ai paesaggi urbani del periodo immediatamente post-bellico fino allo sprawl i concetti urbani sono rappresentati per progetti o modelli ideali e immagini delle conseguenze nella realtà urbana internazionale. Tra materiali fotografici di straordinaria efficacia sono esposti il piano di Lucio Costa per Brasilia, il plastico originale dii Frank Lloyd Wright per Brodacre City e la tavola della città analoga di Aldo Rossi, Bruno Reichlin e Fabio Reinhart. Questa icona del Disegno Urbano e i disegni del movimento radicale di Branzi e Superstudio rappresentano nella mostra gli unici concetti per lo sviluppo della città prodotti dalla cultura italiana e riconosciuti a livello internazionale.

Se quella del Progetto Urbano (traduzione dell’inglese Urban Design?) è ancora la posizione della cultura italiana più chiara e incisiva sulla costruzione della città, il suo statuto operativo si è sensibilmente offuscato. Dall’idea di una pratica progettuale che conferisce senso, bellezza e funzionalità agli spazi fisici, il Progetto Urbano è diventato lo strumento di una procedura urbanistica complessa e di labile efficacia che dovrebbe coinvolgere la pianificazione a scala di quartiere e/o le compensazioni urbanistiche con elementi come le sagome architettoniche, le infrastrutture, gli spazi pubblici e le dinamiche sociali, che tengano conto delle interazioni tra gli aspetti fisici, economici e sociali del contesto urbano e delle fonti di finanziamento. Nella pratica un lasciapassare per le nuove urbanizzazioni. Come nella cultura anglosassone e nei Paesi Arabi o del Far East, dove l’Urban Design è il progetto del master plan delle nuove aree di espansione urbana.

Oggi l’azione simultanea di tre fattori decisivi: le crisi sociali ed economiche, l’emergenza climatica ambientale e la rivoluzione digitale stanno cambiando così profondamente i nostri stili di vita e il modo in cui immaginiamo e desideriamo le forme dell’abitare nel nostro futuro, che tutto il nostro sapere progettuale consolidato ci sembra improvvisamente inadeguato sia come strumento interpretativo della condizione attuale, sia come dispositivo progettuale in grado di generare nuove prestazioni ambientali, sociali, economiche e nuova bellezza e felicità degli spazi di vita. Qual è il destino delle città e del paesaggio se oggi – e domani sempre di più – il fulcro dello sviluppo urbano non è più la crescita ma la capacità di resilienza e la qualità ambientale? Quando non la costruzione del nuovo, ma l’abitabilità, l’efficienza e la ri-significazione dell’esistente diventano le questioni centrali della produzione edilizia? E qual’ è il destino della pianificazione urbana (e più in generale delle discipline del progetto) in un’era che sembra considerare solo – o almeno con priorità assoluta – l’evoluzione degli spazi immateriali e dei dispositivi ad essi correlati? Si tratta di una sfida decisiva per la cultura urbanistica. Una sfida che valorizza l’esistente con dispositivi concettuali che lavorano sull’ibridazione dei significati e sui nuovi cicli di vita degli spazi abitativi.

Possiamo cogliere l’occasione per affermare una visione dello sviluppo non più degenerativa – che prende energia e materiali per produrre beni che diventeranno rifiuti –, ma rigenerativa che ricicli energia e materiali e che sia capace di coltivare la natura umana e le sue ricchezze sociali e culturali. In altri termini, è possibile pensare oggi a un nuovo paradigma per il progetto urbano? Per il progetto dello spazio fisico dei nostri habitat?

Nella modernità – che ha generato l’urbanistica come scienza dello spazio di vita – il genius loci e il genius saeculi coincidono. Le nuove forme d’arte, della città, dell’architettura e della moda hanno creato l’era proiettando l’immagine di un futuro migliore nelle forme fisiche dello spazio figurativo. Oggi non è più così. Mentre tutto cambia così velocemente nella rete e nei dispositivi di connessione, nello spazio materiale delle città tutto sembra cambiare molto lentamente o rimanere com’è. Il paradigma che lega la bellezza alla proiezione del tempo è crollato. I progetti che creano nuovo valore e nuova qualità per una città già esistente propongono una nuova estetica dell’abitare. Le crisi economiche e ambientali chiedono una logica progettuale orientata al riciclo e alla rigenerazione e stanno gradualmente consumando interesse per il nuovo.

Nell’emergenza sociale, climatica ed ecologica che il mondo sta affrontando, è fondamentale sostenere una ristrutturazione profonda del modo in cui si pensa la qualità urbana e si trasformano le città. La teoria del progetto urbano che ha caratterizzato la storia dell’urbanistica in Italia avrebbe potuto rivelarsi resiliente attraverso l’approfondimento e la sperimentazione dei dispositivi progettuali di adattamento e mitigazione alla crisi sociale e ambientale che sta colpendo le persone e i loro habitat.

Ma così non è stato. Oggi il progetto urbano ha assunto un significato diverso. È diventato una pratica di appesantimento burocratico dei piani urbanistici o, nei casi migliori, una tattica agopunturale per piccoli interventi di incremento della qualità urbana disegnata in luoghi diversi e spesso senza relazioni. I progetti di azzonamento, le regole, le normative tecniche, gli standard e anche le strategie progettuali di agopuntura urbana intervengono su un palinsesto obsoleto di costruzione della città per zone funzionali omogenee, per infrastrutture grigie carrabili, per accordi perequativi e compensativi che perseguono in pratica la logica incrementalista delle nuove cubature in città. In questo quadro il progetto urbano diventa lo strumento attuativo principe di politiche di sviluppo spesso speculative e vecchie e sempre inadeguate ai tempi.

Se la città del futuro è quella che già esiste perché abbiamo costruito troppo e in Italia ci sono almeno 11 milioni di case vuote da riabitare prima di costruirne altre e perché ogni nuovo consumo di suolo ha costi ambientali insostenibili, il ruolo dell’urbanistica e quindi del progetto urbano, come concetto olistico di cambiamento radicale e possibile, è quello di occuparsi della qualità sociale e ambientale della città che c’è.

Per occuparsi dell’esistente in piena transizione digitale al tempo della crisi ambientale, energetica, economica e sociale, bisogna cambiare radicalmente i paradigmi, ovvero i punti di vista sul futuro (in senso Khuniano) della città. Di conseguenza anche gli strumenti devono cambiare. Già nel nord dell’Europa quasi non si fanno più Piani Regolatori, ma Piani di Adattamento Climatico che comportano interventi spaziali performanti, complessi ed inclusivi e un’idea del Piano come Protocollo Urbano. Molte grandi capitali e città mondiali hanno concepito e stanno già attuando grandi progetti urbani per la transizione ecologica e digitale.

In Italia, Milano 2030 punta a creare una città sostenibile e innovativa. In Francia Grand Paris mira ridurre la frammentazione spaziale e sociale, sviluppa le politiche della città da 15 minuti e con il Piano Climatico si sostituiscono 60.000 posti auto con nuovi alberi entro il 2030. In Spagna, a Barcellona, Superillas propone la visione di Barcellona come città più sostenibile con il traffico automobilistico ridotto al minimo, che privilegia pedoni, ciclisti e spazi verdi. In Corea del Sud, Seul sta sperimentando il Green New Deal con il Far Game un progetto di intervento sulla città solo sugli edifici esistenti con superfetazioni e ampliamenti su misura, caso per caso e la rigenerazione ambientale del Cheonggyecheon Stream. Negli USA a New York il Big U, una barriera verde intorno a Lower Manhattan, combina la protezione contro le inondazioni e nuovi spazi comuni. In Cina a Liuzhou e in Messico a Cancun due progetti analoghi in via di realizzazione prevedono la rigenerazione urbana come Forest City per assorbire CO2 e migliorare la qualità dell’aria, contribuendo alla biodiversità con un sistema di infrastrutture per il riciclo delle risorse. In Arabia Saudita The Line è un progetto futuristico di una città lineare a zero emissioni, lunga 170 km, progettata per essere completamente pedonale, con infrastrutture di trasporto ultra-efficienti. In Gran Bretagna a Londra il London Plan, è un documento strategico che guida lo sviluppo della città con obiettivi ambiziosi di sostenibilità, inclusione e rigenerazione urbana. Al suo interno, the London Green Grid. In Danimarca il Transformation Plan ha reso Copenaghen la città leader a livello planetario per la rigenerazione urbana, la prima capitale a emissioni zero entro il 2025.

Che sia questo l’unico destino possibile per il progetto urbano? Farsi carico della città esistente interpretando grandi concetti urbani olistici e visionari per la transizione ecologica. Olistici perché compongono, un quadro trans-scalare di coerenza architettonica/urbana/paesaggistica/territoriale in un’unica visione strategica e adattabile su misura ad ogni diverso contesto urbano. Visionari nel senso eroico di una concezione nuova e più radicale della vita e dello spazio fisico della città, non perché descrivano in qualche modo progetti utopici o irrealizzabili. Grandi progetti urbani olistici e visionari rivolti a promuovere il benessere sociale, a rafforzare il senso di appartenenza dei cittadini, alla qualità dell’ambiente naturale, all’adattamento ai cambiamenti climatici. Non prevedono strumenti regolatori ma sfide da combattere con dispositivi progettuali attuabili per assetti nuovi e spesso rivoluzionari dello spazio fisico urbano. Compongono, in una visione strategica una serie di obiettivi e di azioni condivise e misurabili in termini di servizi ecosistemici e di prestazioni ambientali e sociali. In una condizione che si potrebbe dire metabolica questi grandi progetti una volta raggiunto un obiettivo specifico possono rilanciare stabilendo un traguardo nuovo e di livello superiore.